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lunedì 9 dicembre 2013

Just a dream

Non ho la pretesa di paragonarmi a quel tale scrittore che nella pubblicità del caffè hag, con classe e disinvoltura estreme scriveva flessuosamente accoccolato sul divano, rincuorato dal suo bel micio e da una tazzina di decaffeinato fumante.
Io quando scrivo a essere onesti sto curvo come un gargoyle, condividendone non solo la postura ma anche la solitudine, perché il mio gatto è già a dormire da un pezzo.
Ma sorvolando sulle differenze devo riconoscere che la scrittura notturna ha il suo fascino indiscusso.
Non parlo della scrittura obbligata, quella matta e disperata magari dovuta ad una qualsivoglia scadenza o consegna l'indomani.
Forse qualcuno che la trova fascinosa c'è, ma io sono più per le passeggiate che per gli enduro.
La scrittura che preferisco è quella sul confine del sogno, quando le parole osano spingersi un po' più in là 
e diventano espressione di un mondo onirico che ci è sempre celato e si rivela a noi solo quando smettiamo di essere coscienti.
Eppure qualche volta, come in un sogno conscio, ci è permesso di partecipare a quel mondo, realizzando così la più grande delle fantasie: che l'immaginazione, anche solo per pochi attimi, divenga reale.
Ma svaniti gli attimi la fantasia si rivela per quella che è, un illusione che per quanto vivida non sarà mai reale, e come una crudele amante ci lascia soli nel letto prima del sorgere del sole.

"Se un artigiano fosse certo di sognare tutte le notti per dodici ore di essere re, io credo che sarebbe quasi altrettanto felice di un re che sognasse tutte le notti per dodici ore di essere artigiano."

Anche Pascal aveva capito che la condanna dei sogni è rinchiusa in quel "quasi", che per quanto possa ispirare vicinanza in realtà segna la distanza inestesa che separa l'immaginazione dal reale.
Perchè la realtà dalla sua ha la forza, una forza indipendente da tutto e da tutti, è la forza della sveglia che suona la mattina, della necessità di un caffè per affrontare la giornata (e guai a chi osa portarmi un decaffeinato), insomma, la forza del reale che batte ogni nostra immaginazione.
Rapporto complicato quello tra immaginazione e realtà, complicato sopratutto per noi che i sogni li ricorriamo per stringerli tra dita troppo reali per contenerli.

Messa così la cosa sembra una gigantesca fregatura.
Sembrerebbe che il destino della stirpe dei sognatori sia quello di ricercare la sua terra promessa, di mirare alle distese infinite dei sogni muovendosi nella radura desolata della realtà.
Eppure c'è ancora salvezza perché, pur essendo vero che nulla batterà mai la forza della realtà, nulla batterà mai la forza ispiratrice dell'immaginazione.
Non si tratta dell'ingenuo sogno americano, che punta a soddisfare tale ispirazione nella realtà pensando di potersi poi fermare.
Il sognatore esperto sa che una volta iniziato, non si può smettere di sognare.
Noi viviamo di tale forza ispiratrice, ci poniamo sogni e desideri, ma nel momento in cui li realizziamo ci poniamo immediatamente qualcos'altro da raggiungere, perché la realtà è affamata di immaginazione e ciò a cui veramente miriamo è l'irraggiungibile.
Ulisse dopo aver sognato il ritorno a casa per un lungo ventennio ci ha messo meno di un giorno per capire che non poteva rimanere fermo.
Potrà sembrare un destino triste e ramingo, ma va bene così, in fondo se la meta finale è identica per tutti, se sono le cascate delle colonne d'ercole ciò che ci attende, dolce ci è il naufragio in questo mare.

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