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lunedì 9 dicembre 2013

Just a dream

Non ho la pretesa di paragonarmi a quel tale scrittore che nella pubblicità del caffè hag, con classe e disinvoltura estreme scriveva flessuosamente accoccolato sul divano, rincuorato dal suo bel micio e da una tazzina di decaffeinato fumante.
Io quando scrivo a essere onesti sto curvo come un gargoyle, condividendone non solo la postura ma anche la solitudine, perché il mio gatto è già a dormire da un pezzo.
Ma sorvolando sulle differenze devo riconoscere che la scrittura notturna ha il suo fascino indiscusso.
Non parlo della scrittura obbligata, quella matta e disperata magari dovuta ad una qualsivoglia scadenza o consegna l'indomani.
Forse qualcuno che la trova fascinosa c'è, ma io sono più per le passeggiate che per gli enduro.

venerdì 29 novembre 2013

Orrendi uccelli.

Disclaimer: il post che mi appresto a presentarvi mi è stato involontariamente suggerito da una cara amica, a cui vanno i miei ringraziamenti. Da che è iniziata l'avventura dell'Onda Laterale, ognuno dei battitori ha sempre presentato testi relativi a considerazioni proprie, eventi di vita vissuta direttamente esperiti, opinioni sui massimi sistemi. Tutto splendido, e spero vivamente che continui così; pur tuttavia, abbiamo sempre tenuto in conto che questo è un blog di "stile", ovverosia volto a presentare contenuti assolutamente arbitrarî, inteso in questo contesto come univocamente da noi scelti, ma stesi in una trama stilistica punto che potesse solleticare l'immaginazione intellettuale di tutti gli astanti e altresì dei battitori stessi. In questo senso, e sia chiaro, non perché mi manchino assunti di interesse reale, ho deciso di dare una virata radicale all'andazzo, inaugurando il primo post di fiction. Una storia inventata di sana pianta, senza nessi - apparentemente - alla realtà reale, volto alla concentrazione di quella, spero vivamente, che sia una buona scrittura. Un'autentica onda laterale. Pur sempre nel mio stile. Buona lettura a tutti.


Londra.

Una mattina qualunque.

Il cielo, se terso avesse un senso nella capitale anglosassone, lancia delle occhiate di sfuggita sulla terra dove camminano gli uomini, inframezzandole col refrigerio di nuvole che corrono più forte della mente, come se fosse un languido battito di ciglia. Ad ogni piè sospinto un aereo squarcia l'immagine roboante di quest'angolo di mondo. Qualche bipede, chissà là per caso, si ferma un secondo a rimirare l'immagine di quei leviatani di tecnologia e umanità, e forse, osservando i due o quattro motori in equilibrio sulle ali del mezzo, e raffazzonando due pensieri su come mostri di alluminio di quel genere possano essere là sopra, senza che nessuno li sorregga - a meno che non esista sul serio il Flying Spaghetti Monster - in fondo alla sua testa pensa che sì, è giusto che noi siamo ai vertici del Creato. 

sabato 23 novembre 2013

Learn to Swim

Oggi in realtà volevo parlare di altro. Ma vuoi per la crisi degli esami universitari, vuoi perché effettivamente la mia attenzione si è spostata su qualcosa d'altro, ho preferito cambiare argomento. Voglio solo dire la mia su qualcosa che si poteva facilmente evitare. Lo stanno sicuramente facendo in tanti, perché esimermi? Lasciatemi sfogare.


Pochi giorni fa è successo.
Di nuovo.

Acqua e fango.

Sta capitando un po' troppo spesso ultimamente, non trovate?
Non solamente acqua e fango come nel caso specifico, chiaramente.

Terremoti, alluvioni, uragani, ancora terremoti, fiumi in piena.

"Some says a comet will fall from the sky, followed by meteor showers and tidal waves."
[Tool - Aenema]


venerdì 15 novembre 2013

Apologia al disinteresse

Ogni tanto sono stufo delle parole in libertà.
Queste sono solo riflessioni im-personali.
Dico "solo" perché questa non è un analisi politica.
Dico "riflessioni" perché nonostante non si tratti di un analisi, si tratta comunque del frutto di una mente razionale, formulato, masticato, taciuto, rinnegato,esaminato,soppesato,accettato.
Non sono parole in libertà.
Dico "im-personali" perché le penso in quanto singolo individuo, ma oltre a ciò penso (spero/temo?) anche di non essere il solo a pensarle.
Perdonate il preambolo possiamo iniziare.

venerdì 8 novembre 2013

Memoria di pesce rosso

Disclaimer: il tema di questo post, o sarebbe meglio dire insieme di considerazioni, mi è stato suggerito da un amico. Trovandomi d’accordo con lui praticamente su tutto ed essendo il tema sufficientemente speziato, non potevo non cogliere la palla al balzo e sviluppare un’articolazione più densa della conversazione che si svolse sulla sua auto mentre andavamo a bere gran copia di birra al Birrificio di Lambrate. Devo dunque dei ringraziamenti a lui e ne approfitto per augurarvi una buona lettura.


Delle due una: o il tempo, negli ultimi anni, corre più rapidamente, oppure le nostre facoltà di comprensione, assimilazione ed apprezzamento stanno degenerando nella voracità bulimica ascrivibile all’archetipo di homo consumandi.
Incipit del post decisamente poco user-friendly. Va benissimo così.

venerdì 1 novembre 2013

Mare Nostrum

Questo intervento è breve. Tocca determinati argomenti senza approfondirli veramente.
Mi piacerebbe tantissimo andare fino in fondo, ma sono giunto alla conclusione che il tema è troppo vasto per una persona sola.
Spero dunque che risulti essere più uno  spunto, un'idea da cui trarre ispirazione per parlare insieme, più che la trattazione di una sola (e quindi per forza di cose limitata) mente.
Un sasso lanciato in uno specchio d'acqua.
Buona lettura.



Bentornati.
Ho l'onore di pubblicare il primo post di Novembre.
Nel giorno di Ognissanti.
Che culo.

Sarebbe troppo facile scrivere dieci minuti di minchiate sulle torme di fanciulli che ieri notte hanno imperversato per le città, imbrattando di farina di citofini di (in seguito a ciò) iracondi condomini.
E altrettanto mi sarebbe facile parlare di una festività, quella di All-Hallows-Eve (per i bifolchi: Halloween), che a detta di molti non ci appartiene affatto dal punto di vista religioso e culturale.

domenica 27 ottobre 2013

Sindrome da Panda.

Mi scuso con voi cordiali lettori per l'attesa (immagino struggente) di questo tanto agognato intervento.

Più che gli impegni, sempre numerosi ed intenti ad ammassarsi l'uno sull'altro in una mischia caotica, il vero problema di questa posticipazione sono le scadenze.

Il rapporto tra l'uomo e le scadenze è complicato e singolare, ognuno ha i suoi metodi e le sue dimenticanze, io una volta ho mangiato del purè scaduto e devo dire di averlo trovato squisito, mio fratello passò la lunga nottata vomitando.

Forse non erano queste le scadenze che intendevo, e vi chiedo perdono per essere s-caduto nel banale.
C'è qualcosa di diabolico nella scadenza, sembra così lontana e distante persa nel futuro remoto, e quando poi si avvicina è troppo tardi per fare tutto quello che non si è fatto, mangiare tutto quello che non si è mangiato, pagare quello che si doveva pagare.
Forse sono solo io a vivere male questo rapporto con le scadenze, ma preferisco pensare di non essere l'unico povero stronzo a subire la sindrome da panda (La celebre sindrome da panda consiste in un blocco totale simile a quello assunto dal panda quando è spinto in una performance sessuale davanti a un branco di scienziati che armati di foglio e penna si leccano le labbra bramosi).
La scadenza è subdola perché va rispettata. Però lei non rispetta te. Magari se ci fossimo conosciuti meglio non avrei nutrito tanto astio nei suoi confronti ma era sperduta in tempi che dovevano ancora essere, e una volta in vista procede in un rapido conto alla rovescia suicida.

Ci sono cose che uno farebbe normalmente, come la cacca, ma che poste sotto l'influenza di una scadenza divengo ardue imprese, un po come riuscire a defecare in un bagno pubblico con qualcuno che bussa insistentemente fuori dalla porta apostrofandovi a male parole.

La scadenza è il richiamo ineludibile dell'altro, il monito sempiterno che c'è qualcun'altro a cui dare conto di qualcosa.
Probabilmente è per questo che siamo portati a rispettare le scadenze, le rispettiamo perché sono solo simbolo del rispetto che dobbiamo (attivamente e passivamente) dare ad altri, che sia uno scienziato che lentamente sta scoprendo un lato zoofilo di sé, un'anima disperata che bussa con insistenza sulla porta o uno strozzino notevolmente alterato che ti orina sul tappeto.

Questo magari non sarà d'aiuto al panda in preda all'ansia da prestazione o al defecante desideroso di quiete, probabilmente non modificherà il mio viziaccio di scrivere in ritardo e sicuramente non risolverà i vostri (spero eventuali) problemi con gli strozzini, ma potrebbe aiutare a ricercare un più raffinato equilibrio tra ciò che è giusto si dedichi a sé e ciò di cui dobbiamo render di conto ad altri.

Mi piacerebbe di cuore continuare ma lascerò che la morale di quest'intervento la traiate voi, io credo di aver mangiato qualcosa di scaduto e avverto l'improvvisa necessità del bagno.
Sperando non sia occupato o mi toccherà bussare ore.

domenica 20 ottobre 2013

5 e mezzo.

Qualche settimana fa una mia amica mi disse:
tu dovresti scrivere un libro. 

Ammetto che il mio stupore non fu poco, perché in vita mia me ne hanno dette tante ma che potessi o addirittura dovessi scrivere un libro non mi era mai capitato. Quantomeno questa asserzione dirompente è stata la scusa per ritornare indietro e capire perché mi fossi messo a scrivere qualcosa, peraltro senza grandi pretese, ma che ha potuto sortire effetti sì roboanti al punto da pensare che fosse tutta una gag campata per aria, come spesso ce ne capitano in cui ce ne si esce con mezze verità obbligate dal contesto che, normalmente, si riassumono con troppo ampî ondeggii del capo e frasi di brutale circostanza come "Bravo, bravo...".

Io ero il giovane uomo da 5 e mezzo nei temi. Ho passato 14 anni a scuola a scrivere temi e fregnacce indegne per ottenere un voto e non mi sono mai staccato dal 5 e mezzo. La genialità e il vuoto culturale, la voglia di scrivere e la nolontà, l'applicazione rigorosa dei vincoli formali o la post modernità più annichilente, la casta dei professori di italiano sapeva, o meglio sentiva, che qualunque cosa scrivessi era da 5 e mezzo. Peraltro, adducendo ragioni ricorrenti e ricorsive: idee mediocri, scritta stantia, scarso stile, risultato poco conforme alla richiesta. 5 e mezzo. Che fossero professori ciellini o marxisti ortodossi, includendo tutte le tonalità di grigio nel mezzo, non si scappava. 

sabato 12 ottobre 2013

Segreteria Didattica

Bentornati, fedeli lettori.
Dobbiamo scusarci. Questa settimana non abbiamo preparato un cavolo di nulla.
Nessuno di noi.

Ragion per cui, se desideravate un intervento intenso, carico di contenuti profondi e magari con un pizzico di risonanza sociale, pacco.

Ma vi prego di capirci: siamo studenti universitari.
Ed è inizio autunno.
Questo dovrebbe essere sufficiente, no?


venerdì 4 ottobre 2013

Briciole di gioia

C'è una cosa di cui mi sono accorto rileggendo gli interventi laterali che abbiamo pubblicato fino ad ora.
Siamo dei presi a male.
Eccezion fatta per qualche intervento l'amaro in bocca rimane sempre, sorge spontaneo il dubbio su una dieta a duro regime di pane e fiele appoggiati da un buon bicchierino di cicuta.
C'è da dire che effettivamente, a ben vedere, non c'è molto su cui ridere.
Potrei fare una dettagliata analisi incentrata sulla nostra attuale società, ma non mi ingozza proprio per nulla, quindi spero nel vostro perdono e giungo direttamente ai risultati: Qui è tutto uno schifo.

Grazie al cazzo. (pt.2)

Che cosa è successo? Da quando abbiamo smesso di guardare al mondo con speranza per guardarlo con rassegnazione?
Da quando il buono il bello e il giusto hanno smesso di essere valori ispiratori e si sono trasformati in parole vuote, inefficaci, fuori moda, totalmente prive di attuabilità ed efficacia?
In nome di cosa dunque alzarsi la mattina e prendersi l'impegno e la fatica di vivere?


venerdì 27 settembre 2013

La "Racionalidad Cachonda".

Disclaimer: questo post sorge da ampie e divertentissime discussioni tenute con alcuni cari amici spagnoli in quel di Monaco di Baviera. A loro sono debitore e va tutto il mio riconoscimento per lo spasso avuto e la fantasia impiegata per creare un minimondo attorno a questa espressione. Altresì, questo post potrà toccare livelli estremi di misoginia, perché sono malato ora che scrivo, perché sono un po' stufo e perché, ogni tanto, la provocazione fa bene. Quindi se siete soggetti deboli che appena leggono la parola "donne" seguita da termini non unicamente e falsamente positivi si incazzano oltremodo gridando allo "Shcantaloh!!1!", non continuate la lettura di questo post e piuttosto fatevi un giro su pornhub e tornate alle origini. Anzi, chiudetevi in casa per un buon par di settimane, va'.


  
Devo essere sincero con voi, cari astanti dell'Onda laterale, poiché sono abbastanza convinto che molti di voi, dopo aver letto i miei post durante i primi mesi di esistenza di questo blog, abbiano pensato qualcosa del genere "No ma bravo questo kazzam o come diavolo si fa chiamare, però cazzo che pesanti i suoi post". E devo essere una volta di più sincero, sono assolutamente d'accordo. Ragione per la quale, oggi vi preparo un intingolo più sul faceto che sul serio sperando di redimere la pesantezza insita nel mio animo di scrittore mediocre. In altri termini, spero vivamente vi facciate qualche risata, oggi.


venerdì 20 settembre 2013

Metoclopramide

Siamo tornati. Contenti?
Bene. I convenevoli finiscono qua.
Perché oggi ho una storia da raccontare.

Una storia che avrei dovuto scrivere molto tempo fa. Più di due anni. Ma forse è meglio aver aspettato tanto.

In realtà questo è un racconto scritto a quattro mani. O meglio, le mie solite due mani e l'ausilio di un cervello supplementare.
Il cervello poderoso e sconfinato di un mio amico del liceo, che per discrezione chiameremo S.L. (acronimo fittizio ma non troppo).

venerdì 13 settembre 2013

Cervelli Stitici

Namastè.
Mi presento.
Io sono Ajnabi. Lo sai cosa significa ‘Ajnabi’ ?
È punjabi, hindi, o come cazzo ti pare, e significa ‘Straniero, sconosciuto’.
Perché tu non mi conosci, giusto?
E nemmeno io conosco te, siamo pari.
Choo Choo Train.
Stai leggendo quello che una persona sconosciuta ha scritto perché tu lo leggessi.
I tuoi impulsi elettrici saltellano di nodo in nodo cercando di leggere.
Perché diavolo sei qui?
Non mi interessa nemmeno eh, non prenderla troppo sul serio. Tutto questo non ha senso.
Qual è il senso di questo pezzo?
Volevo scrivere qualcosa di poco impegnativo, e mi viene in mente Bill Hicks.
Niente ha senso, siamo finiti su questa cazzo di giostra che continua ad andare ed andare,
e cos’è alla fine, un giro di giostra o si tratta di realtà?
Forse pensare al fatto che la vita sia solo un giro di giostra ti metterà di buon umore, o di mal umore, a seconda del tuo stato ormonale.
Mi spiego meglio,
il fatto che tutto questo sia solo un gioco distribuito dalla EA games, fa un po’ paura, ma…
Ma!
Mi ti ci aiuta a prendere più alla leggera las cosas. Tanto alla fine che cosa rimane?
Nemmeno il biglietto della giostra mi ti ci rimane, e quindi a che pro preoccuparsi?
È inutile che cominci a far girare le rotelline nella materia grigia, continuerai a non arrivare  alla soluzione del problema.
Anzi, se ce l’hai scrivila.
Ma sappi che  non ci penserai mai abbastanza, ed anche se ci pensassi abbastanza sarebbe ancora poco.
Non è che se mangi o dormi abbastanza, poi non ne hai più bisogno, è questione che più ci pensi e più finisci nella spirale vorticosa del dubbio.
Sì sì, la vita è bella, c’è la musica, c’è l’amicizia, c’è l’amore, c’è tutto quel che cazzo ti pare,
ma è sempre UN giro di giostra,uno solo, un soffio, un niente, un colpo di vento, uno schiaffo, un calcio nel culo, a meno che…
A meno che!
A meno che tu non riesca a riempire il tuo schifo di vita, con cose meravigliose, con attività meravigliose, con persone meravigliose,
che ti porteranno felicità, gioia, amore, livelli di masturbazione mai visti, soldi, viaggi…
In questo caso, moriresti lo stesso, lasciando tutto quel che cazzo hai costruito, tutto.
Se non costruisci niente non ti porti via niente, se costruisci molto, non ti porti via niente lo stesso.
Quando sentiamo bussare alla porta, non possiamo non aprire solo a due cose.
All’amore ed alla morte. Entrambi non avvisano, a meno che non si tratti di serial killers ed altre stronzate del genere.
Datemela per buona.
In linea generale, in sintesi, per fare un sunto, in poche parole, siamo inutili.
Non c’è un senso. E non sforzatevi di trovarlo, perché da questo punto di vista, siamo tutti stitici.
Non volevo essere pessimista, non volevo scrivere una cosa così, ma quante cose che non vogliamo succedono?
A presto.

[Ladki Ajnabi]

venerdì 6 settembre 2013

Disfunzioni dell'anima

Sento di dover confessarmi:
L'impotenza è una brutta bestia.
Non sto parlando della disfunzione erettile, anche se pure quella è una brutta bestia, bensì di impotenza vera e propria.
Che poi non è tanto dissimile dalla disfunzione erettile quindi potremmo anche iniziare da qui.
Ma iniziare cosa? Iniziare qualcosa? Senza poi portarla a termine? Come la disfunzione erettile d'altronde.

Scusatemi.
Forse il caldo intenso della pausa estiva mi ha dato alla testa impedendomi di scrivere qualcosa di unico e lineare, condannandomi a rimanere intrappolato in un eterno leitmotiv dal quale non si può uscire, senza poterci fare effettivamente nulla, il che ci riporta alla disfunzione... ma avete già capito ormai.

Quando qualcosa ti ronza in testa è davvero difficile liberarsene, puoi provare a pensare ad altro, leggere un libro, vedere un film, ripetere tutti i numeri del Pi greco (ma c'è qualcuno che lo fa sul serio?), uscire di casa per vedere altra gente, ballare, cantare, ubriacarsi, obliarsi e provare a dormire, ma alla fine il ronzio è ancora lì, perché ormai ci hai pensato la prima volta, gli hai dato esistenza ma non puoi cacciarlo via, non ci puoi fare proprio nulla, esattamente come con...

Forse è meglio fermarci un attimo, sicuramente si stava per alludere a qualcosa, ma mi sono scordato cosa.
Eppure era così vicino fino a un secondo fa... Fa nulla, ciò che è andato è andato, non puoi farci nulla...
Ecco!
Trovato!
Che sia questa la chiave per uscire da questo dedalo di parole? Che sia il motivo scatenante di questo guazzabuglio nel quale sguazzo senza successo, senza poterne emergere, senza potersi immergere totalmente, senza poter fare niente...

Figliolo forse è ora che tu mi dica cosa ti turba, devi confessarmi qual'è il tuo demone personale, cosa ti sussurra all'orecchio nelle notti di veglia, cosa ti mormora mentre ti segue ovunque tu vada, cosa ti ha rivelato, quale scandalosa epifania ti ha costretto a subire.

E credimi io vorrei davvero venirti incontro ma il mio demone è l'impotenza, non la disfunzione erettile bada bene, ma l'impotenza vera, quella che riconosci perché nell'attimo in cui hai realizzato la sua presenza lei è già dilagata ovunque, non lasciandoti via d'uscita, legandoti a una torbida maledizione che ti lascia sì in vita, ma completamente...impotente ecco.
Un cancro che pianta metastasi ad ogni livello della tua vita, un unico mantra ripetuto e ripetuto e ripetuto, fino allo stremo: "Che ci puoi fare?".
Tutto è in declino, il marcio dilaga e io...e io che ci posso fare?
Ovunque guardassi vedevo solo cose che volevo cambiare, oh, dio solo sa quanto volevo cambiarle, ma certe cose non sono fatte per essere cambiate, anche se questo l'ho realizzato solo più tardi, solo dopo aver visto tutto e capito di non poter farci niente.
Ma se non io allora Dio! Forse lui può! Insomma dopotutto è onnipotente no?

Mi dispiace figliolo, ma se è a lui che indirizzi la tue preghiere ti posso assicurare che non avrei risposta, perché lui non può risponderti, e credimi, sono tante le cose che non può fare, in tutta la sua onnipotenza non può scegliere di non essere ciò che è, e questo turba anche lui perché non può farci niente.
Se condividi con lui questa condizione, di cosa hai paura dunque?

...
La mia impotenza è stratificata ad ogni livello, mi ha chinato il capo, mi ha reso inabile ad alzarmi, come la disfunzione erettile, ed ovunque volgessi lo sguardo non vedevo e tuttora non vedo come potrei cambiare le cose, perché dopo analisi dibattiti litigi e discussioni, elucubrazioni meditazioni e preghiere, alla fine di tutto il mantra tornava a ripetermi: "Che ci posso fare?"
E dal "che ci posso fare" io mi son lasciato cullare ed accudire, e forse (forse?) ciò di cui mi vergogno è che il mantra non ha rovinato la mia vita, ma l'ha plasmata, permettendomi di proseguire senza agire.
Volevi sapere di cosa ho paura?

La vera paura è che finisca.
La vera paura è che il demone mi abbandoni, costringendomi a realizzare che il vero problema non era la sua impotenza ma la mia inettitudine.



lunedì 12 agosto 2013

Riassunto delle Puntate Precedenti (05,06,07/2013)

Segue un riepilogo degli interventi finora pubblicati, divisi per data di pubblicazione.
Di fianco, tra parentesi, è indicato l'autore dell'intervento.



Luglio 2013

19/07 - Non c'è ragione                                               (A Malambr)
12/07 - Breve Storia di un Portachiavi                          (Kazam 82)
05/07 - Pediluvio Metafisico                                         (Squiscio)

Giugno 2013

28/06 - Citrullus Lanatus                                              (A Malambr)
21/06 - Noi siamo Infinito                                            (Kazam 82)
17/06* - La Dittatura del Carpe Diem                          (Kazam 82)
14/06 - Aerei di Carta Nera                                         (A Malambr)
08/06 - Impellenze Biologiche                                       (Squiscio)

Maggio 2013

24/05 - Running with the Night                                      (A Malambr)
19/05** - Dichiarazioni d'Intenti Laterali (part.3)           (Squiscio)
19/05** - Dichiarazioni d'Intenti Laterali (part.2)           (Kazam82)
19/05** - Dichiarazioni d'Intenti Laterali (part.1)           (A Malambr)




*L'intervento "La Dittatura del Carpe Diem", di Kazam82 alias Stefanuccio è stato pubblicato originariamente il 31 Maggio 2013, per poi sparire misteriosamente e venire recuperato nella data indicata.

**Le tre "Dichiarazioni d'Intenti Laterali" sono state pubblicate rispettivamente il 17, 18 e 19 Maggio 2013 su Tumblr, prima che lo staff prendesse la decisione di spostarsi su Blogspot.

venerdì 19 luglio 2013

Non c'è ragione

Sono abbastanza convinto che qualunque patentato automunito sia d'accordo con me nell'affermare che una delle cose più appaganti nell'esistenza di un essere umano sia guidare con un po' di sana musica nello stereo. Magari quando c'è poco traffico. Magari fuori città, così da bypassare i pestilenziali pedoni che attraversano in diagonale.

C'è un girone all'Inferno per quelli come voi!

E beninteso, con la giusta musica.

venerdì 12 luglio 2013

Breve storia di un portachiavi.



Diversi anni fa, in un momento abbastanza anonimo nella vita di tante persone, diversi accadimenti, succedutisi repentinamente oltreché drasticamente, imposero cambiamenti radicali – e si badi, non imposero di per sé, ma sì indussero – alla mia personale esistenza. Ma non è dei cambiamenti che mi sono imposto in quel periodo che voglio parlarvi oggi, bensì di uno di questi fatti, caduto come un fulmine a ciel sereno in un caldo e infervorato pomeriggio di luglio, che ha prodotto una delle improvvisazioni e bugie più innocenti che mi hanno visto come fautore e protagonista. Un fatto che ancora adesso mi fa gonfiare gli occhi e, per fortuna, sorridere, visto che molto virilmente credo che un uomo non debba piangere, neanche quando è da solo. Questa è la storia di un portachiavi, un oggetto di per sé abbastanza ridicolo, ma che mi ha insegnato che anche il più ridicolo degli oggetti può cambiare la vita, invero in questo caso ho esagerato, diciamo meglio: far vivere esperienze umanamente belle e raccoglierle per raccontarcele in un futuro lontano, e persino tramandarle. 

Come dissi al principio di questo racconto, succede che un giorno di luglio, verso l’una e mezzo del pomeriggio, una persona tra le più belle che abbia mai conosciuto e compagna di un legame che definirei figliale se ne sale in cattedra e annuncia, tra lo stupore di molti me compreso, di essere affetto da un brutto male, espressione eufemistica propria del giornalismo accomodante tipico italiano, uno di quei mali che in alcuni casi possono essere o diventare inguaribili. Uno di quei mali che pensiamo succeda sempre agli altri, a metà tra l’augurio e l’esorcismo, in un mantra d’impotenza e speranza che recita che se è inevitabile almeno che succeda sempre lontano dal focolare, che al male non c’è rimedio ma al massimo compassione e dimenticanza, perché il lutto non è mai il benvenuto nelle nostre microsocietà famigliari o amicali, e ci mancherebbe altro.

Invero devo ammettere che ho vaghi ricordi di quei momenti, probabilmente nonostante avessi già un’età per cui vivere esperienze ingiunge un ricordo più o meno radicato, il mio corpo altezzosamente razionale si è autoimposto una rimozione radicale degli elementi più destabilizzanti la mia naturale voglia di sorridere. Ed in qualche misura bene così direi, perché è naturale degli esseri umani cercare di raggiungere la felicità – sia essa qualcosa di reale e realmente raggiungibile o sia semplicemente una definizione dell’assenza di infelicità – e, soprattutto, non privarsi di quei momenti di dolce rilassamento dato dalla tranquillità forgiata dalla lontananza dei problemi.

La prima bugia di questo racconto, o mezza verità, od omissione dello stato delle cose, fu che scoprimmo che questo male veniva da lontano, esisteva addirittura in un momento altrettanto marcante della mia vita, quando nel ’95 fui con la mia squadra di rugby in Sudafrica, letteralmente dall’altra parte del mondo, ed il protagonista di questa storia, d’accordo con chi di dovere, decise di non dire niente per non turbare il sollazzo spensierato di una mezza sega rugbistica, perché poi all’atto pratico ci viene insegnato giustamente che le bugie hanno le gambe corte, espressione che spesso un ragazzino non capisce in sé, fino a quando un’anima pia ci spiega che chi ha le gambe corte non può correre lontano senza farsi beccare, e la metafora si scioglie, ma quando si cresce ci si rende conto che le bugie, le mezze verità o l’omissione dello stato delle cose rendono il mondo migliore, perché la verità spesso fa male, ma non sempre migliora le cose o rende il mondo più giusto. Noi mentiamo perché amiamo le altre persone, e con un piccolo gesto, cattivo probabilmente, rendiamo il mondo attorno alle persone alle quali mentiamo un po’ più tollerabile, o persino più bello. Le bugie spesso sono un segno d’amore, che come molti segni d’amore non viene capito, quando non osteggiato. La bugia, come molti segni d’amore, si paga di più per averla detta piuttosto che per averla evitata.

La seconda bugia di questo racconto ha a che vedere col portachiavi del titolo. Questo portachiavi è letteralmente una boiata che ai tempi mi costò credo addirittura 5 euro e che si vendeva a Monaco di Baviera. Sta di fatto che fui là in gita scolastica, meta per cui mi sono battuto strenuamente e che invero proposi in alternativa a Berlino. Non importa sapere per quale ragione volli andare a tutti i costi là, gesto puerile di un ragazzo egoista che voleva andare a tutti i costi in un posto e fu disposto a portarsi dietro una classe intera, compresi i professori, per seguire i suoi sogni. Quello che importa è che una volta dentro l’Hofbräuhaus, meta necessaria per giovani alcolisti perdigiorno, si aggirava un tipo che ti faceva una fotografia e al momento te la metteva in un portachiavi di plastica. Chiaramente in preda al fervore monacense non mi sono sentito di rifiutare la proposta, e comprai questo portachiavi. Che misi in una borsa qualunque e lasciai là, dimenticandomene. E la foto. Il mio faccione, capelli tipo riccio o Cocciante, Dreitagebart, o forse Zwanzigtagebart, un Maß pieno di birra retto dalla sinistra e pollice verso l’alto esposto con la destra. Un obbrobrio degno del peggior turista italiano in Baviera. 

Passarono i mesi dopo l’annuncio, ai drammi citati sopra seguirono altri drammi nella migliore tradizione che vede le disgrazie avere ottima socialità con le loro consimili, fino a che il protagonista di questa storia decide che deve affrontare il giudizio delle Parcae, e scoprire se il suo filo continuerà ad essere tessuto oppure verrà reciso. Mi chiese, un giorno non so quando, che sarebbe stato suo immenso piacere avermi al suo fianco il giorno dell’ingresso in ospedale. Ammetto di aver accettato senza riserbo, nonostante avessi terrore di tutto. Ci siamo organizzati. Vestiti, oggetti, computer, musica, tutto quello che è necessario per alleviare l’obbligo di permanenza in una camera sterile. Quando mi stavo preparando per uscire, mi passò per le mani quel portachiavi. Decisi di portarlo con me. Credo che andammo in taxi, esperienza fondativa per me visto che andare in taxi a Milano sarà capitato, fino a quel momento, forse una volta. Andammo dove di dovere, consegnai tutto al protagonista, lo abbracciai. Non sapevo come funzionavano quelle cose, ero terrorizzato, lo aiutai a portare tutto agli infermieri e dopo gli dissi, Senti, prendi questo, porta fortuna, e gli diedi il mio portachiavi. Lo prese, mi abbracciò, ci salutammo, e scappai da quel lugubre sito immacolato di vernice col respiro corto e gli occhi gonfi. Tentai a tutti i costi di non piangere, credo che singhiozzai un paio di volte, non so perché alle volte voglio a tutti i costi essere così ridicolo. 

Ed ecco la bugia fondazionale di questo racconto. Il portachiavi non portava fortuna. Era un orrore turistico bavarese, che mi passò per le mani in un certo momento, e dissi la cosa più ridicola che mi passò per la testa: porta fortuna. Non porta niente, è un portachiavi. La frase aveva un duplice intento consolatorio, probabilmente, per me e per il protagonista. Per lui, perché aveva una stupidaggine con il mio faccione e che portava per giunta fortuna in un momento in cui la fortuna può determinare molto, o persino tutto. Per me, perché dare un feticcio qualsiasi era consolatorio e giustificatorio, Ho fatto qualcosa di buono per qualcuno che ha bisogno, e la mia bugia ha reso il suo mondo, critico e precario, un filino più bello. 

Francamente non mi ricordo bene quanto tempo passò da quel momento fino al giorno – il Giorno, quello dove tutto si sarebbe deciso. So che forse la cosa più bella di tutta questa storia successe in un frangente in cui non ero in casa, o più probabilmente stavo dormendo, o forse mi stavo alienando. In direzione verso il posto dove si sarebbe svolta un’operazione, l’ambulanza che portava il protagonista passò sotto casa mia. Chiese agli infermieri di dare un colpo di sirena proprio di fronte a casa, del genere Ehi, io ci sono, poi ripasso qui. 

Ho sognato una vita che in quel frangente avesse con sé quel portachiavi.

Recentemente abbiamo festeggiato dieci anni da quell’operazione. Mi emoziono ancora quando parlo di un portachiavi, inutile e forse persino brutto, foriero di una menzogna consolatoria. Perché se è vero, come dicevano i Romani, che homo faber ipsius fortunae, allora il protagonista, ed io stesso, abbiamo vinto entrambi: lui, che ha rischiato tutto per guarire, io, che ho raccontato una menzogna per farlo guarire. 

Ed è guarito.

Quel portachiavi, forse, portava veramente fortuna. O forse l’ho messa io lì dentro quando glielo diedi.  

Quel portachiavi adesso raccoglie le chiavi di casa del protagonista.

Perché casa è il posto dove sta il cuore. Ed un portachiavi bugiardo.

venerdì 5 luglio 2013

Pediluvio Metafisico

Inizialmente quest'articolo voleva essere un commento di risposta al bellissimo post di Kazam "Noi siamo infinito" ma data la scarsa capacità di carico dei commenti (maledetto il giorno in cui limitammo la nostra capacità espressiva col numero di caratteri massimi) ho ritenuto più appropriato pubblicarlo nella sua interezza.

Ci sono questioni che prima o poi ci si pone e anche dopo averle poste continuano a tormentarci (o dilettarci?) perché ciò che credevamo di aver raggiunto si sgretola tra le mani o semplicemente sfugge al nostro sguardo, alla nostra comprensione, chiedendoci continuamente di essere rincorso.
Ci sono punti sui quali sono prepotentemente d'accordo con te, specialmente per quanto riguarda la tensione infinita che è rinchiusa nell'uomo, proprio nello stesso uomo che nel fluire del tempo chiamato storia si è dimostrato capace di azioni e opere che spaziano dal magnifico all'infimo, capaci di suscitare sentimenti sublimi o il terrore più cupo.
Dopo millenni di convivenza con se stesso e i suoi simili l'uomo cosa ha capito di sé? Si può davvero parlare in generale di qualcosa che trova la sua massima espressione nella singolarità? Qual è il nostro destino, indiarci verso una gioia infinita o perire nella sofferenza più atroce? Oscillare come un pendolo tra picchi di euforia e disperazione o rimanere stoicamente fermi al centro osservando e comprendendo ciò che ci circonda?

È vero che per conoscere e capire qualcosa abbiamo bisogno obbligatoriamente del suo contrario (e qui sorge doverosamente una ringraziamento ad Eraclito, coi piedi immersi nel suo ruscello), e ritengo probabile che sia per questo, per conoscersi meglio, che l'uomo abbia inventato Dio, suo eterno opposto, nel tentativo di conoscersi meglio.
O magari che Dio abbia creato l'uomo per conoscere qualcosa in più di sé, per essere riconosciuto e finalmente riconoscere qualcuno in quel miracolo di eterogeneità che è l'esistenza (umana o divina che sia).

Ed è qui che si gioca il grosso della questione.

Factus sum mihimetipsi quaestio. Noi siamo domande per noi stessi, come affermava Sant'Agostino, e se l'uomo è la domanda Dio è l'immediata risposta.
E' vero che nell'uomo soggiace una tensione infinita, tensione però racchiusa in una finita e determinata quantità di anni che sono a nostra disposizione, e per dirla schiettamente una risposta serve più da vivi che da morti, ed ecco che questa risposta ci viene data attraverso quel processo di rivelazione della verità che si esprime nelle religioni con i loro Dei.
Ma se l'uomo non fosse la domanda? Se invece noi, insieme a tutto l'Esistente, fossimo la risposta?

L'uomo non è sempre stato. In principio non era il verbo.
Sarebbe più corretto dire che "In principio non era" perché secondo me all'inizio non c'era proprio un bel nulla, così nulla che non c'era neanche l'inizio.

Ve lo dico brutalmente: io credo in dio.
Badate bene, non credo in Dio o negli Dei, non credo in un triangolo con l'occhio o in corpulento uomo dorato, non credo in nulla che sia antropomorfo e non credo che dio abbia coscienza di sé o degli altri, credo che non abbia coscienza, non abbia percezione, per farla breve non credo abbia qualità alcuna se non l'esistenza,  ma credo che noi Siamo; ovvero credo che nello stato attuale delle cose tutto ciò che esiste sia caratterizzato dalla sua stessa Esistenza.

Se non mi avete liquidato con un fragoroso "Grazie al cazzo" vi spiego meglio quello che intendo.
Noi esistiamo su un pianeta che esiste in una galassia che esiste in un universo che esiste e non possiamo liquidare la questione scaricando la responsabilità del tutto su un Dio o un Bosone perchè anche loro se sono, sono in una condizione di esistenza.

La domanda alla fine è sempre una: Perché l'essere e non il nulla?
Perché alzarsi dal letto quando si può rimanere a dormire?

Potete chiamarlo caso, chaos, fortuna, destino, o potete non chiamarlo affatto, ma ciò non toglie che noi siamo e che tutto ciò che esiste sia con noi.
E proprio noi, insieme a tutto l'esistente, siamo la risposta al nulla che avremmo potuto essere.

Siamo risposte ed è per questo che da sempre  in vari modi e molte forme continuiamo a cercare la nostra domanda.

venerdì 28 giugno 2013

Citrullus Lanatus

Sono passati ormai due mesi da quando abbiamo dato il via a questo progetto.
Ognuno dei tre autori ha avuto occasione di scrivere due volte, escludendo le dichiarazioni d'intenti di quel fine settimana di Maggio. Tre autori, tre stili, tre registri diversi. Più o meno digeribili e assimilabili, ma si sa: il mondo è bello perché è vario.

Voi che leggete siete arrivati fin qui, cosa che in sé renderebbe raccomandabile un'accurata perizia psichiatrica, e noi che scriviamo ne siamo immensamente compiaciuti.
Alimenta il nostro ego.

Tuttavia di tanto in tanto sento ancora qualcuno domandarmi: “Sì, ma che intenzioni avete?”

venerdì 21 giugno 2013

Noi siamo Infinito.


L’introduzione al mio post di tre settimane fa recitava, un po’ per boria, un po’ per apprezzamento dell’adeguatezza, un’espressione in tedesco che mi piace particolarmente. Parlare di Dio e del mondo, espressione decisamente più magniloquente eppure definita del nostro un po’ misero più e meno, o tutto ed il contrario di tutto. Che peraltro, se tentiamo un paragone tra l’espressione corrente tedesca e l’ultima citata sopra, si potrebbero trovare affinità e si potrebbe addirittura formulare qualche parallelo, se diamo per accettabile che Dio è tutto ed il mondo il contrario di tutto, se non fosse che, citando ancora il post che scrissi in precedenza, il mondo è stato creato a immagine e somiglianza del Divino, dunque non si capirebbe perché debba essere il suo contrario. Si arriva di conseguenza ad uno stato di paradosso irriducibile, Dio ed il mondo, Sua immagine ridotta ad uno schizzo, inconciliabile col Padre, eppure prodotto del perfetto. Può il perfetto produrre l’imperfetto, eppure mantenerlo coerente con la sua origine?


Questo post parlerà di varî paradossi, anche se mi piacerebbe inventare una parola nuova, o quantomeno sperare che sia nuova, perché sono disposto a mettere la mano sul fuoco che qualcuno, in un altro tempo, luogo o dimensione l’ha già inventata, e pensare di chiamarla paraeudosso, ossia l’inconciliabilità e l’incoerenza di due semplici cose, eppure che danno luogo ad un risultato definibile come bello. D’altra parte, e chiedo scusa per la ridondanza, un’onda laterale è un semplice e immediato paraeudosso.

Ricorsivamente, ormai da qualche anno, penso a cosa sia Dio, punto di partenza fondamentale di una ricerca di chiarezza nella mia testa per risolvere, almeno dal mio punto di vista, le più banali domande che ci definiscono come essere umani: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo, cosa succede quando non siamo più. Ricerca di chiarezza culminata, peraltro, in un punto di umiltà senza mezzi termini, ovverosia l’ammissione d’incapacità e d’incompetenza per poter procedere alla risoluzione del problema, e l’asserzione convinta che non sono in grado di stabilire se Dio esiste o meno, senza per questo voler imporre questa opinione – perché credo non è – a chicchessia, acme di un percorso personale che, molto più prosaicamente, ha prodotto il risultato di una bella scomunica da parte di Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, per le risa di tutti gli astanti.
Aldilà delle opinioni dei giureconsulti di diritto canonico, ho continuato – e continuo – ad interrogarmi sulla natura del Divino, da storico, da pensatore libero, da essere umano nella sua finitezza. Se non che la risposta a cui sono approdato, invero banalissima ma splendidamente umana, è che il Divino non è nient’altro che una rappresentazione intangibile di ciò che non siamo e che, in qualche misura, vorremmo essere. Quali sono, in fondo, gli atti costitutivi di Dio nella sua declinazione monoteista? Infinito, Onnipotente, Onnipresente, Onnisciente. In fondo trovo abbastanza paradossale partire dalla nostra finitezza per giungere alla perfezione: in qualche misura se la razza umana si fosse concentrata di più sui suoi limiti e finitezze per alleviarle invece che creare una rappresentazione uguale e contraria a se stessa che finisce per comandare e decidere, forse adesso competeremmo col Capitano Kirk per arrivare là dove nessuno è mai giunto prima. Ma questo è un altro discorso. E la cosa divertente è che già in questa parte di descrizione del problema, sono apparsi varî paradossi.

Dio come proiezione antipodica dell’essere umano rispetto a se stesso, in un circolo eterno in cui nessuno è se non per e nell’altro. Essere umano, finito, limitato, imperfetto, naturalmente disposto a gettare il cuore oltre l’ostacolo per essere qualcosa di più, eternamente scontento del suo stato caduco, che vuole essere Dio e si scopre ogn’istante terra e cenere e argilla. Eppur non smette. La ricerca come essenza dell’essenza, la prospettiva come sogno per cui vale la pena esistere, la forma che è più carica di significato del significato stesso. Questi sono, a mio modo di vedere, i termini del problema. E non sono a noi sufficienti tutte le arti onomastiche, etimologiche e descrittorie per ottenere definizioni che aiutino a modellizzare due enti, anche astraendoli dalla realtà, senza svuotarli di significato, di sfumature, di dettagli, perché, non dimentichiamolo, per par condicio, e a maggior ragione poiché si continua a citare Dio e Dei varî, che è nei dettagli che si nasconde il Diavolo, oltre che nelle pentole, aggiungerei. E andiamo al dunque con un esercizio di logica che ha pretese ferree ma che difficilmente potrà produrre un risultato rigoroso. 

Dio, essendo proiezione umana di ciò che l’essere umano non è, è Infinito e Perfetto. Perché l’Uomo Infinito e Perfetto non è, e ragionevolmente vorrebbe esserlo. Guardando ancora una volta alla cultura tedesca, questo desiderio fu posto in essere magistralmente da Goethe nel Faust, poiché l’anelito di Faust alla perfezione nella più nobile, alta e umana delle arti, la conoscenza, era a tal punto asfissiante che, in paradosso con la sua bontà d’animo, non esitò a scendere a patti col Diavolo, con Mefistofele, altrettanto ragionevolmente l’antipode dell’uomo essendo noi nati a Immagine e Somiglianza del Divino, per ottenerla. L’Uomo dunque come essere Finito e Imperfetto. 

No

Dire dell’Uno o dell’Altro Finito e Imperfetto o Infinito e Perfetto significa unire ciò che non si può unire. Una contraddizione in termini. Vediamo cosa vogliono dire le parole Finito e Perfetto, dando per assunto che il prefisso in- indica la negazione della parola dunque non implica modificazioni sostanziali ma solo un senso uguale e contrario alla parola originaria. Finito, andando a naso e cercando un po’ in internet qualche sito utile all’analisi, rimanda al verbo latino finire, dalla parola finis, is, parola molto interessante perché al singolare significa semplicemente fine, termine, conclusione, mentre al plurale (fines, ium) significa confini, frontiere, limiti – siano essi politici o geografici, e aggiungo io morali –. L’idea che dunque suggerisce il termine Finito è qualcosa di compiuto, di concluso, di limitato perché detiene dei confini. Ciò che è finito è al punto d’arrivo, è il non plus ultra, è il risultato. E poi Perfetto. Ancora, parola di origine latina, per + factum, dove per è un prefisso per dare un senso di compimento; dunque il Perfetto è un “fatto compiuto”, un elemento concluso, un risultato, un non plus ultra

Il paradosso, quello vero, quello che si nasconde nei dettagli, nella magia delle parole, è che due termini contrarî sono sinonimi. Certo, probabilmente un vero linguista sosterrà impettito che sto dicendo un mucchio di stupidaggini, che l’analisi è superficiale, che non c’è rigore scientifico. Tutto vero. Cerchiamo, però, di leggere quanto scrivo con una punta di magia e romanticismo. Al peggio, si sorride. Si sorride ad immaginare che ciò che è concluso sia il massimo grado, sia la perfezione, sia il non plus ultra, e che abbia in sé quelle caratteristiche che si cercano nel suo contrario, nell’inconcluso e inconcludente, nel Perfetto che, in fondo, Perfetto non è o non vuole essere. Il Finito trova la sua Perfezione nell’attimo in cui il principio agente che lo muove muore, fissandolo nell’eternità come immutabile, come costante, come Perfetto perché accaduto. Non è un caso che la parola perfetto sia usata in tantissime lingue per indicare un tempo passato, ossia un tempo verbale in cui l’azione è iniziata e conclusa nel passato, un’azione che è fissata per sempre in un tempo che non è più. E questa definizione mi piace molto per arrivare al contrario delle due parole finora analizzate: Infinito e Imperfetto. Infinito, termine uguale e contrario a Finito, impensabile, irrazionale, inumano, paradigma vero di tanti verbi in tante lingue. Infinito è senza principio né conclusione, è privo di un principio agente che lo muove perché è in sé il principio agente, perché comunica significato. È la liberazione dai vincoli terreni e dalle finitudini che sono principio di definizione dell’essere umano. E Imperfetto. Inconcluso, dinamico, attivo eppur vittima di quel principio agente che vorrebbe dominare, o essere. Ritornando al punto verbale, Imperfetto è ciò che viene da un passato che ci lambisce ancora e coi denti e con le unghie tenta di arrivare fino a noi, nella sottile linea rossa che chiamiamo presente, solo per dirci che è vivo, per metterci il fiato sul collo, per comunicarci una relazione. È sinonimo un po’ claudicante d’Infinito.

Può Dio essere Infinito e Perfetto? Può l’uomo essere Finito e Imperfetto? 

Non sono nessuno per asserire qualcosa che abbia un vago retrogusto di certezza in merito a queste domande. Ma quello che credo, umanamente, frutto incompiuto di tante ore di pensiero, è che Noi siamo Infinito. Questo, in fondo, è il vero paraeudosso. Noi siamo Infinito perché siamo perfetti, stavolta nel senso di limitati, siamo carne, Memento homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris, torneremo polvere. Ed è questa limitatezza, questa caducità a toglierci i limiti di cui siamo ossessionati, e che per sorte a malapena riconosciamo. Noi siamo Perfetti perché siamo Perfettibili. Dio non ha senso per noi esseri umani perché è il risultato maldestro di un paradosso. Che senso ha qualcosa che riunisce in sé semplicemente tutto? Se si è tutto, non si è più niente, perché non si possiede più un significato, avendoli già tutti. L’essere umano, per fortuna, non è tutto, né niente. È uno. Nella nostra claudicante andatura troviamo ragioni per dare un significato all’oggi e al domani. Noi, nonostante i nostri appariscenti limiti, ci siamo ancora, in barba a tutti quelli che sostengono magniloquenti che abbiamo sempre fatto di tutto per autodistruggerci. Noi diamo un senso all’oggi perché abbiamo un desiderio per il domani, perché sappiamo che il domani avrà un significato, sappiamo che domani sarà un giorno migliore, perché questa è la nostra missione. Questo è il senso dell’essere Perfettibili. Usando una formula matematica, si direbbe che noi siamo un limite, gioco di parole con quanto scritto fino ad ora abbastanza simpatico, un limite che tende ad infinito, senza incontrarlo mai, ma che quantomeno ci prova. Ecco, noi siamo quella tensione all’Infinito che ci definisce come umani. Perché in fondo, il nome della nostra specie ci dice tutto di noi, o quantomeno il sufficiente: homo sapiens, perché essere uomini non è sufficiente, ma uomini legati alla conoscenza ed alla sapienza è più giusto, oltretutto perché l’aggettivo qualificativo sapiens è anche participio presente del verbo săpĭo, săpĕre, sapere, elemento interessante perché ci comunica qualcos’altro in più, ossia la tensione al Perfetto di cui sopra, l’azione già presente ed in essere hic et nunc. Perché noi siamo noi in quanto sapienti, in quanto conoscenza. 

Noi siamo Infinito, perché il moto che ci domina verso l’irraggiungibile ci rende eterni.

Questo è il nostro senso.

E non sono sicuro di questo, nemmeno se fossi Dio.