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venerdì 20 settembre 2013

Metoclopramide

Siamo tornati. Contenti?
Bene. I convenevoli finiscono qua.
Perché oggi ho una storia da raccontare.

Una storia che avrei dovuto scrivere molto tempo fa. Più di due anni. Ma forse è meglio aver aspettato tanto.

In realtà questo è un racconto scritto a quattro mani. O meglio, le mie solite due mani e l'ausilio di un cervello supplementare.
Il cervello poderoso e sconfinato di un mio amico del liceo, che per discrezione chiameremo S.L. (acronimo fittizio ma non troppo).


Una sera io e il suddetto ci siamo ritrovati. La classica bella serata in compagnia di un caro amico che non si vede da un po'. Seratina tranquilla, nulla su cui dilungarsi.
Ridi e scherza, si fa una certa. È ora di rincasare.
Lui decide di allungare il percorso e accompagnarmi fino in stazione.
Qui la serata prende un risvolto inaspettato, quando incontriamo un allegro ragazzo scozzese particolarmente sbronzo e molto alla mano e trascorriamo circa un paio d'ore a discorrere di relatività generale.

Ed è qui che il caro S.L. spruca (n.d.a. “sprucare”: in dialetto barlettano, “disseppellire”) un vecchio aneddoto. Un aneddoto ripetuto più volte nel corso degli anni, ma non per questo meno pregno di valore.

Badate: la bizzara circostanza e il tempo trascorso non hanno per nulla sofisticato il racconto.
Anzi, esso si è adattato alla realtà, come col tempo uno stivale si adatta al piede che lo calza, assumendone l'indelebile impronta, aderendovi alla perfezione.

Assorbendone il tanfo.
Questa è la storia dello Scapeciaro.

Partiamo dal principio: il mio amico S.L. è sì una mente geniale, ma siffatta mente alberga in un fisico da surfista californiano con addominali scolpiti e glutei di marmo. E le mani temprate dal duro lavoro.
Perché fin da tenera età, costui è abituato ad accompagnare suo padre in spedizioni in Molise. Una terra sconosciuta e inospitale. A vendere il baccalà.

È in questo frangente che S.L. ha conosciuto la leggenda.


Lo Scapeciaro è un individuo dei bassifondi di Campobasso.
Di retaggio italo-rom, inizia la sua brillante carriera come cartomante. Professione questa, intervallata da piccoli furti, estorsioni e altre amene occupazioni.
All'attivo ha anche diversi mesi di carcere per reato di usura.
Questo fino a che non decide di affacciarsi sulla scena del piccolo commercio.
Inizia a vendere lupini, frutta secca e olive al mercato.
Attività moderatamente redditizia, per nulla rischiosa e totalmente in nero.

Ma i proventi di queste mattinate al mercato non soddisfano le sue ambizioni.
Qui conosce il suo onorevole predecessore, il Signore della Scapece.

Questo è l'aspetto che dovrebbe avere
una scapece genuina.
Non è il nostro caso.
Occorre qui specificare cosa sia la scapece.
Trattasi di una pietanza di cucina tipica gallipolina, ma molto apprezzata anche in Molise.
Pesce, preventivamente fritto, marinato in molliche di pane imbevute di aceto e zafferano.

Se decideste di assaggiarlo, pregate perché resti nel vostro stomaco.


Il Signore della Scapece era un uomo onesto, legato alla tradizione. Preparava lui stesso la scapece secondo l'antica ricetta, e aveva un notevole giro di affari proprio grazie all'unicità del suo prodotto sul territorio. Il suo cliente tipo è il nostalgico anziano partito in gioventù per cercar fortuna in Germania, e tornato in età avanzata per ritrovare i sapori della sua terra natìa.

Attratto dal bacino di guadagno del Signore della Scapece, anche lo Scapeciaro decide di intraprendere questo percorso.
Riesce ad apprendere la ricetta e muove una guerra senza quartiere al former master.

Come facilmente immaginabile, i mezzi del disonesto comprendono sabotaggi, intimidazioni, furti.
Di fronte a un così agguerrito rivale, il Signore della Scapece non può che cedere il passo.


Eliminata la concorrenza, lo Scapeciaro può permettersi di modificare la ricetta, aggiungendo un cosiddetto “liquido di governo”, il cui unico scopo è fornire un peso supplementare da usare per spennare i malcapitati clienti, fornendo loro una minore quantità di prodotto.
Il prezzo lievita, fino ad arrivare agli attuali 25 € al Kg (prezzo nominale).

Emblematico il motto di questa persona: “Quando mi chiedono un chilo, faccio mezzo chilo a tutti, 600 grammi a qualcuno, ma un chilo mai a nessuno!

Questo tenore di affari, unito alla sua innata vis oratoria e al fatto di essere il maschio alfa dei pescivendoli, gli consentono rapidamente di permettersi una Mercedes. Anche il non pagare neppure l'ombra di un'imposta aiuta, bisogna dire.


Ma tutto ciò non è sufficiente per lui. Ha il denaro. Ha il dominio indiscusso sul commercio della scapece a Campobasso. Ma non ha l'anima del suo principale rivale. La ottiene presto.
Annichilisce e umilia il Signore della Scapece prendendo a lavorare con sé il figlio di quest'ultimo, approfittando della noluntas di un invididuo svuotato dal vizio del gioco e dalla fine infelice di un matrimonio.

La sua vittoria è completa.

Chi di voi si trovasse per qualche ragione a passare dalle parti di Campobasso, in giorni di mercato può trovare lo Scapeciaro, con il suo pancione prominente, i glaciali occhi azzurri e i capelli bianchi senza nemmeno l'ombra di una stempiatura ad agitare vigorosamente un campanaccio per attirare ignari polli da spennare.
Con solo un leggero tremolio della mano con cui regge la bilancia truccata a tradire il peso di più di settant'anni di esistenza.


È ora di tornare a casa.
S.L. ha terminato il suo resoconto, e non saprei dire se l'espressione attonita sul volto del giovane scozzese ebbro fosse dovuta all'assurdità di quanto ascoltato o se si fosse appena accorto di non trovarsi a Edimburgo.

Nel caso la seconda ipotesi fosse quella corretta, diamine che sbronza!
In caso contrario, non posso che capirlo.

Vi starete domandando quale sia lo scopo di questo racconto.
Forse è solo una storia, di quelle curiose. Un pretesto per stare insieme e ingannare il tempo.
O forse volevo comunicare qualcosa. Un messaggio. Un monito.

Starete pensando che non può essere tutto qui.
Deve esserci un risvolto che ristabilisca l'ordine.
Perfino il Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga deve fare i conti con l'aridità di cui si è circondato nella sua scalata economica.

Ma questo non è il ciclo dei Vinti.
Non c'è una morale. Nessun finale a sorpresa.
È solo la realtà.

Vi piace questo piatto?

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