Disclaimer: questo post è stato pubblicato in data 31 Maggio 2013; a causa di un problema tecnico, la pubblicazione originale è andata perduta. Ci scusiamo per l'inconveniente e vi auguriamo una buona lettura o rilettura. [Kazam82]
Sorseggio un caffè, sto di fronte ad uno schermo cangiante, finisco, come al solito, per pensare über Gott und die Welt, su Dio e sul mondo, come si direbbe in buon tedesco.
In
altri termini, è il più classico momento delle seghe mentali, quello in
cui si ricostruisce un mondo che, per un verso o per un altro, non ci
aggrada fino in fondo. Sia detto di passaggio, beato colui che, Candide e povero di spirito, riesce ad essere felice e pasciuto del mondo in cui vive.
Ed
ecco che, tra Dio ed il Mondo - creato a sua immagine e somiglianza,
non si perda di vista questo punto - solca verso l'orizzonte un'onda
laterale.
La dittatura del Carpe Diem.
carpe diem, quam minimum credula postero,
diceva Orazio, molto tempo fa. E nonostante tanto tempo sia passato,
questa lezione immagistrale è stata somatizzata a tal punto che ormai è
diventata parte del nostro DNA, del nostro comune agire, della nostra
vita quotidiana.
In verità, in verità io vi dico: questa lectio
ha avuto prima un imbarbarimento atroce dovuto all'azzeramento delle
prospettive intellettuali di popoli interi a seguito delle invasioni
barbariche, per cui da sognatori bizantini siamo diventati servi glebae, ed abbiamo iniziato a tradurre eminenze intellettuali votate allo stordimento dello studente liceale (ma diem
lo traduci attimo o tempo? o ancora, vita? "vivi il presente" spacca il
culo ai passeri, ma la Prof vuole una traduzione letterale...) in detti
legati alla miseria contadina e alla pochezza di una vita parca
evidentemente obbligata. Vivi il presente è così diventato meglio un uovo oggi, che in fondo non importa di chi sia l'uovo, l'importante è averlo, il momento, il dies vale meno perché è intangibile in quanto è di tutti.
Ed arriviamo alla lezione somatizzata e omogeneizzata dai nostri antepassati, tradotta con la mestizia di una società servorum glebae improvvisamente urbanizzata, in qualche misura arricchita e ad ogni modo più incattivita ed incazzata, perché l'appetito vien mangiando, e quando cominci a mangiare bene non hai voglia di tornare a sfamarti a pane e formaggio industriale.
Prendi, fa' tuo, tu vinci perché sei tu, non perché te lo meriti.
Ogni
tanto mi chiedo se questo retaggio appartiene alla società italiana o è
estendibile a gruppi popolativi più ampî, il futuro forse mi darà una
risposta. È un Marchese del Grillo in termini forse un po' più beceri. È
la dittatura del momento, del presente, mangia più che puoi perché non sai cosa il domani, a cui non devi pensare, ti riserverà.
Penso persino che una parte sostanziale di questa impostazione mentale, o continuando col latino, forma mentis,
derivi anche dall'egoismo positivo di tradizione Smithiana, in
sostanza, la radice più antica del capitalismo. Ma in fondo non sono né
sociologo né economista, quindi meglio non metterci becco.
Quam minimum credula postero,
dedicati il meno possibile a ciò che verrà. Questo messaggio, in tanti
modi, ci viene bombardato tutti i giorni. Addirittura ci sono delle
ricerche mediche che dicono che chi si dedica di più alla speculazione,
intesa nel senso morale più che economico di "proiezione di un pensiero
nel futuro", ha più rischi di friggere il cervello ed avere problemi di
nervi, fino a crisi di panico e perdere fiducia in se stesso.
Stronzate. Cari amici, lettori, astanti e simpatizzanti, eccovi il mio sano, gridato, incazzato parere:
Sono tutte sonore, magniloquenti ed altisonanti stronzate.
Se
c'è qualcosa di sporco, di sudicio, di maleodorante, quel qualcosa è la
dittatura del presente. Per quale strana ragione, spiegatemi, dovrei
sentirmi indotto a non pensare al futuro? A vivere del momento? Mi
sembra l'esagerazione del pensiero romantico, vivi di passioni caduche,
vivi hic et nunc, il futuro non è né prevedibile né si può costruire, per questo mettiamolo nel dimenticatoio, riduciamoci a Hyaenae ridentes,
passeremo una vita meravigliosa senza domani e finiremo per nutrirci
dei nostri sogni morti. Come dei veri artisti romantici, viviamo dei
turbini delle passioni, che per il futuro c'è Dio e le sue schiere
angeliche o turme di vergini a disposizione per ogni anima pia.
E quando arriva un zé ninguém
che tenta avere una prospettiva - di vita, d'amore, di professione -
ecco che spesso e volentieri viene tacciato di essere strano,
inadeguato, o persino gli viene intimato amichevolmente: "Amico, spegni
il cervello ogni tanto".
Rinunciare alla prospettiva
del domani significa in qualche misura rinunciare alla prospettiva della
razionalità che ci caratterizza per essere umani e non fiere.
L'apoteosi di questo fenomeno umano è apparso, in un coro di sonore
risa, in una pubblicità diffusa non troppi mesi fa nei cartelloni che
hanno fatto la fortuna di Berlusconi tempo addietro, i 6x3: la
pubblicità era della Diesel, e ci invitava graziosamente a be stupid.
Corollario normale, e persino giusto, all'inquadramento ir-razionale
per cui inizi a non pensare al domani e finisci per non pensare mai, che
tanto stupid has balls.
Sarò forse
apocalittico? Esagerato? Magari questo è un minuto sintomo di scarsa
fiducia nei confronti del genere umano? Personalmente direi di no.
Tutt'al più è una considerazione determinata da uno sguardo disincantato
nei confronti del mondo. E tutte queste parole, suoni, immagini e
pensieri, passeranno senza fermarsi, perché dum loquimur fugerit invida
aetas, entrée rotonda ed adeguata quando si vuol cogliere l'attimo.
Che
in fondo la caducità di tutto questo Dio e mondo, la frivolezza di
riempirsi la bocca con parole magniloquenti per apparire più importanti
od interessanti di quanto in realtà non si sia, si vede che si ha senso
solo nel frangente. D'altra parte, il caffè è finito, la bobina di
masturbazione intellettuale si avvia ronzando verso la conclusione,
bianca come nella migliore tradizione cinematografica in pellicola, e lo
schermo non è più cangiante. Finisce Dio e finisce il mondo, e l'onda
laterale è già ad un passo dall'orizzonte. Chissà se, come pensava
Ulisse, raggiunti i limiti tangibili del pianeta, l'onda cadrà, e
diventerà infinito, nello spazio. O se, semplicemente, tornerà indietro.
Pensare, speculare sul futuro, significa anche pensare che c'è un'onda
che ritorna solo per noi, per farci cadere e farci diventare infinito.
Per non dover più pensare.
[Kazam82]
P.s.: chiedo immensamente perdono ma adoro le "d" eufoniche.
P.p.s.:
nella mia tradizione di scrittore di blog, mi piace avere un rapporto
diretto coi lettori. Percui se dopo aver letto questo pezzo avete un
commento, non esitate a postarlo. Qualunque cosa vi passi per la testa,
il vostro feedback è sì prezioso.
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